206 | Giulio M. Facchetti |
4. La natura dei segni rongorongo Dai documenti pervenutici si ricava la netta impressione che il rongorongo sia un sistema di scrittura pienamente sviluppato, cioè un sistema di scrittura propriamente detto e non una fase prescritturale di carattere pittografico. Tale "impressione" si rinsalda in consapevolezza in base a una serie di indizi importanti: il numero dei segni diversi impiegati (così come classificati da Barthel) e un certo riconoscibile "metodo" nel sistema delle loro composizioni; la presenza di righe ordinate con un ben preciso verso di lettura (bustrofedico e rovesciato); testi di lunghezza davvero considerevole (il Santiago Staff raggiunge quasi i 3000 segni); inoltre è possibile individuare sequenze di segni, anche lunghe, che si ripetono in documenti diversi. Nell'estate del 1940, durante una visita scolastica al museo di San Pietroburgo (allora Leningrado), Boris Kudrjavtsev, Valerij Chernuskov e Oleg Klittin, tre giovani studenti, furono molto colpiti dai documenti rongorongo ivi conservati. Essi formarono allora un gruppo di interesse e, ottenute delle fotografie di tavolette conservate altrove, riuscirono a identificare sequenze di segni piuttosto lunghe che si ripetevano con poche varianti non solo sulla Great Saint Petersburg (P) e sulla Small Saint Petersburg (Q), ma anche sulla Tahua (A), il "remo", e sulla Great Santiago (H). La scoperta è oltremodo utile, non soltanto perché fornisce argomenti per valutare la natura del sistema rongorongo, ma anche perché permette di individuare in alcune apparenti diversità delle semplici varianti grafiche non significative di certi segni, specialmente in composizione. |