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ANTROPOLOGIA DELLA SCRITTURA223

     L'unica "lettura" di Ure Vaeiko degna di una certa attenzione è la recitazione che dal suo incipit è nota come Atua-Mata-Riri ("dio dagli occhi irati"). Essa fu associata da Ure Vaeiko alla tavoletta R, che è altrimenti chiamata proprio Atua-Mata-Riri. Tale recitazione consiste in una serie di versi ripetitivi in cui una divinità o un'entità si accoppia (ki 'ai ki roto ki già inteso come "... copulando con ...") con un'altra, producendo (ka pû te "scaturisca il ...") piante, animali o altri fenomeni naturali.

     Steven Roger Fischer, che con Guy è tra i massimi esperti di rongorongo, ha analizzato il Santiago Staff (cioè l'epigrafe I), la più lunga epigrafe rongorongo rimasta e l'unica a recare marche di divisione testuale (precisamente linee verticali), traendone osservazioni combinatorie davvero rimarchevoli. Egli ha per esempio verificato la presenza costante dopo la "linea di separazione" (che è classificata come segno 199) di un segno composto con .076, oppure la possibile struttura prevalentemente (ma non sempre) triadica del testo. Nel 1995 Fischer, con un articolo sul "Journal of the Polynesian Society", ha comunicato di ritenere individuabile nel Santiago Staff un testo strutturato come la recitazione Atua-Mata-Riri, che andrebbe considerata un canto cosmogonico o di procreazione. Specificamente .076 (già da Barthel identificato come il segno per "fallo", sulla base delle letture metoriane) trascriverebbe il sintagma ki 'ai ki roto ki inteso come "copulando con" o, per lo meno, 'ai "copulare" (da integrare, come pure ka pû te "scaturisca il ...", per cui mancherebbe ogni riferimento nella trascrizione rongorongo). Trascrizioni omissive ed ellittiche fino a questo punto non possono certamente essere la regola per una scrittura ideografica (pena un'elevato tasso di ambiguità); tuttavia, per esempio, nella scrittura cuneiforme assira, quando una parola era scritta logograficamente, si ometteva l'indicazione fonetica di desinenze grammaticali, se erano ben deducibili dal contesto; in geroglifico egiziano, poi, oltre a varie scritture omissive (le vocali peraltro sono di regola non notate), tuttavia ben integrabili dal lettore, erano in uso delle vere e proprie "sigle" per abbreviare la trascrizione di frasette ricorrenti, come per es. ankh per 'nh wd3 snb "che viva, sia prospero e sano".


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